Giuseppe Piergianni, nato a Napoli nel quartiere di Montecalvario. Il mio cognome non è Napoletano ma Pugliese, mio Padre era nativo di Grottaglie invece mia Madre era nativa del quartiere dove sono nato. Bene, dopo questa brevissima presentazione delle mie origini, veniamo al dunque. Ora vi racconto di me e di come è nata la passione, perché no l’amore, per la fotografia.
…capriccio, raggiungere l’oggetto del desidero: Rolleiflex Planar f/2,8 6×6.
Tutto ebbe inizio quando avevo circa dieci anni e mio Padre, Vito Nicola Piergianni fotoreporter dell’allora Giornale Roma e al quale dedico queste pagine web, mi invitò ad entrare per la prima volta nel suo regno: la camera oscura. Con la passione e devozione verso questa forma d’arte, mi ha insegnato i primi rudimenti del click. Da quel giorno per me diventò il mio Maestro.
A quel tempo non era possibile fare un reportage e consegnare le immagini pronte per essere impaginate, stampate e pubblicate, tutto il lavoro veniva gestito nella camera oscura, che chiamavo la stanza della magia. Era tutto lì il segreto delle immagini, come da un pezzo di cellulosa poi sulla carta, l’immagine veniva alla luce. I primi rullini che scattavo erano con la Rolleiflex, all’epoca non avevo fotocamere personali, in camera oscura ero sempre super controllato da mio Padre. Stare in quella camera mi dava sempre un’emozione continua, forse, per il timore di sbagliare, di avere un rimprovero o peggio ancora, rompere le attrezzature. L’odore degli acidi, della carta Ilford, era inebriante, vivere il primo passo verso la realizzazione “magica” dallo sviluppo e fissaggio della pellicola, sino alla magia più grande: l’immagine sulla carta.
Al principio ero sempre impaurito nel commettere i classici errori di apertura di diaframma e tempi di esposizioni, per chi come me era ai primi click, mio Padre sempre paziente mi rassicurava dicendomi: “Geppì, per non sbagliare regola la macchina con apertura di diaframma f/11 e tempo su 1/125 vedrai che andrà bene, poi se sbagli impari”. Non mi rendevo conto del perché, anche se mi veniva spiegato sempre, non riuscivo a comprendere il valore di f/11, certamente perché ero un ragazzino che giocava con attrezzature di una certa importanza e avevo un Maestro esigente e severo.
Il tempo passava, per me lentamente, arrivò il giorno della mia prima comunione, per questa occasione mio Padre mi regalò la fotocamera, Zorki-4 35mm.
Finalmente avevo la mia fotocamera. Non ricordo quanti scatti avrò fatto e quanti, sicuramenti, errati ma ricordo che avevo raggiunto, per la felicità, il cielo con un dito. La Zorki era sempre con me, tranne nelle ore scolastiche, ogni rullino che sviluppavo, anche da solo, era un’emozione unica, non mi importava se su trentasei fotogrammi solo uno era quello buono, scattato bene seguendo i consigli del mio Maestro. L’importante era sperimentare, osservare, per cercare di fare un click perfetto e ricevere dal mio Maestro, un “Bravo, è una bella foto”, desideravo solo questo. Ma in tutto questo turbinio di emozioni e speranze il mio pensiero era sempre alla fotocamera: Rolleiflex Planar f/2,8 6×6. Il mio sogno. Era più forte di me, si, la Zorki era una bella fotocamera ma la Rolleiflex, era il massimo il paradiso, insomma un piacere senza fine. Desiderio agognato ma mai potuto raggiungere. Non era per cattiveria che mio Padre non mi permetteva di usare la sua Rolleiflex, era il suo “attrezzo” di lavoro.
Un giorno, ero alle scuole medie, dopo l’ennesima mia richiesta di poter usare la sua Rolleiflex, mi fece una proposta: “Geppì, considerando che mi chiedi sempre di usare la Rolleiflex, ho pensato di farti usare l’altra macchina fotografica la Yashica-Mat EM f3,5 6×6, cosa ne pensi?”. Accettai il compromesso.
Immediatamente presi possesso della Yashica, dei rullini e incominciai a scattare, rispetto alla Zorki, era tutt’altra cosa.
A dire il vero, non ho sempre scattato con la Yashica, spesso, quando mio Padre era in ufficio e non usciva a far foto per il Roma, “rubavo” la Rolleiflex, scattavo le foto le sviluppavo e stampavo e con meticolosa attenzione eliminavo le prove del mio “furto”. Ma si sa, il delitto perfetto non esiste…un giorno quando ero alle superiori morì un ragazzo della scuola e organizzammo un corteo interno. Mi chiesero di fare le foto, ora, secondo voi: potevo mai andare con la Yashica? No. Quindi di nascosto, presi la Rolleiflex, andai a scuola scattai le foto, ritornai subito a casa e misi tutto a posto. La sera dello stesso giorno, mio Padre fu chiamato dal giornale per un reportage, chiaramente prese la sua macchina fotografica la caricò e…non so perché lo fece, scattò una foto in casa. La macchina non rispose al click. Si aprirono le cateratte in cielo, fui subito scoperto e punito. Meno male che c’era la Yashica! Il danno, meno male che all’epoca lavoravo in uno studio di architetti, fu a mie spese, 140.000 Lire più iva. Ebbene, da allora la Rolleiflex per me, diventò una cometa.
Da quel giorno non usai più le macchine di mio Padre e non scattai più. Nel 2004 si iniziava a parlare di foto digitali, mio Padre non c’era più. Non ho preso le macchine analogiche per tanti anni, non volevo scattare più foto, non perché fui punito ma, sicuramente perché non avevo più il mio Maestro.
Un giorno del 2004, leggendo una rivista di informatica mi attirò un articolo che discuteva della fotografia digitale, la lettura mi appassionò, così un poco per curiosità un poco perché, in cuor mio volevo riprendere a scattare, comprai la mia prima fotocamera digitale era una Hewlett-Packard PhotoSmart C945 (V01.67). Era simpatico non pensare alle impostazioni, faceva tutto lei, pensavo solo al soggetto alla composizione dell’immagine. Però, c’era qualcosa che non andava quel qualcosa che ti fa fermare e riflettere da dove vieni e agli insegnamenti ricevuti. Fu come fare un salto nel passato. Volevo scattare come negli anni 80, volevo riavere la facoltà di scegliere come usare la fotocamera volevo rimettere in pratica gli insegnamenti del mio Maestro. Così feci, impostai in manuale la fotocamera e ripresi la mia vecchia strada, avere il controllo della fotocamera. Però, come ogni ad ogni decisione, compare un “ma” o un “però”, così fu. “Però le immagini sono in jpg, in post produzione si può fare ben poco” ed ancora “Ma solo in jpg si possono salvare le immagini?” Con la mia HP C945, si poteva fare ben poco dal punto di vita dell’estensione file, nel frattempo ero in contatto con il mio ex professore di scuola, Franco Rotella, ormai più amico che professore, considerando la fiducia che avevo e che ho tutt’oggi nel campo grafico gli feci vedere delle mie foto, gli piacquero e mi consigliò di pensare ad una mostra fotografica, così fu.
Franco progettò l’impaginazione su formato 100×70 ed io alla stampa su supporto in Forex, a questa mia prima invitai a partecipare un mio amico di infanzia, Guglielmo Beraglia, fu tutto divertente e allo stesso tempo emozionante. Guglielmo, scattava da più tempo di me, in digitale, con la Canon EOS 300D.
A quel tempo avevo il mio studio sotto casa dove svolgevo la mia attività di informatico, un giorno Guglielmo mi chiamò e mi chiese se era possibile ospitarlo, potevo dirgli di no? Così incominciammo la nostra avventura fatta di click. Un giorno, la mia HP C945 decise di abbandonarmi e rimasi senza fotocamera, Guglielmo aveva due fotocamere per non farmi fermare mi diede la sua seconda fotocamera. E così ricominciai a fare foto, certo la Canon era un’altra cosa le prime impostazioni furono in automatico e in formato jpg. In ogni caso non abbandonai completamente la pellicola, certo scattavo di meno ma è sempre rimasto il modo più bello di fare foto.
Nel frattempo, conobbi Luciano Basagni, fotografo del polo museale di Capodimonte, tempo addietro insieme a mio Padre e Franco Rotella, avevano collaborato per lo studio Rotella ad alcune manifestazioni.
Il mondo è piccolo, diventammo amici e spesso organizzavamo delle passeggiate fotografiche per il centro storico della nostra città. Luciano è un fotografo eccezionale, pignolo, non si accontenta mai di ciò che scatta, ebbene, con il tempo, è diventato il mio Maestro, gli sono grato ho imparato molto da lui e i suoi consigli continuano ad essere presenti e principalmente utili. Una persona come lui non si incontra facilmente, ma quando si ha questa opportunità non bisogna perderla. Abbiamo fatto molte cose insieme sia per cultura che per divertimento, sempre umile e disponibile, insomma, è il mio Maestro.
Ebbene da allora sono passati un bel po’ di anni, oggi tutto quello che so fare lo devo solo alle persone della mia storia è con onore che li ringrazio, perché senza di loro, forse, oggi avrei abbandonato questo mondo fantastico; un mondo fatto di immagini.